Mar Hernández | Il Gattopardo

 

 

Mar Hernández, Casa Zapata, matita su stampa a getto di inchiostro, 2020, 98×154 cm

“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen”.  La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste, avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.

Il Gattopardo, (1958)

 

Il rituale del rosario coinvolgeva tutta la famiglia del Principe di Salina, ogni giorno si riunivano alla stessa ora e pregavano la Vergine Maria affinché proteggesse Don Fabrizio, la moglie Maria Stella e i loro sette figli.

In quel salone era raccolta l’essenza della Sicilia nobiliare degli anni Cinquanta dell’Ottocento, dominata dai Borboni oramai in declino. Il palazzo palermitano dei Salina era arredato con il mobilio lasciato in eredità al principe Fabrizio. Sul tavolino erano adagiati calici di cristallo appena lucidati ed utilizzati la sera prima in occasione della cena con il sindaco di Donnafugata, Don Calogero Sedara. Nella sala i lampadari pendenti brillavano sotto i raggi luminosi della luce del meriggio, che filtrava dalle pesanti tende lasciate chiuse dalla servitù di Don Fabrizio. Nella cucina si mischiavano i profumi degli odori conservati sugli scaffali su cui erano posizionate delle scatole di latta, contenitori di caffè e sifoni.

Ho immaginato che la famiglia del Gattopardo si trovi a vivere le stanze di Casa Zapata di Mar Hernández (Madrid, 1984), artista che attualmente vive e lavora a Madrid e che ha intessuto un legame molto stretto con la città di Roma, essendo stata borsista presso l’Accademia di Spagna nelle discipline dell’incisione negli anni 2013-2014.

Nella sua ultima produzione per la White Noise Gallery di Roma esamina la vicenda legata agli oggetti vissuti e agli spazi logorati dal tempo. Guardando le opere: Casa Zapata, Estanteria, Sifon, Estanteria cafe, mi pare siano esteriorizzate tutte le fasi temporali della storia degli oggetti. Vengono raccolti in scaffali logori e rappresentati nella loro banale semplicità addomestica celando significati profondi. Essi delineando il configurarsi della vita come è vissuta, con le loro rotture, ammacchi e forme logore.

Hernández ragiona sul tempo e sulle sue tracce. Lo fa in due tempi con tecniche artistiche antitetiche: prima fotografa il soggetto e poi disegna su di esso le suggestioni con un delicato tratto di matita. Per riprendere l’espressione di Rosalind Krauss, le opere della Hernández sono da considerarsi come passaggi indicali. La tecnica fotografica viene sfruttata come pura registrazione di una presenza fisica e non più come una rappresentazione iconico-simbolica dell’oggetto. Proprio in questa logica indicale si racchiude la relazione esistenziale tra l’opera, il processo creativo e l’ambiente da cui nasce, giustificando così l’inseparabilità, tra le diverse fasi creative.

Con le opere della Hernández possiamo tuffarci nel passato: entriamo nel salone rococò del palazzo del Principe Fabrizio, sentiamo confabulare il cerchio di persone che sta recitando il rosario. Si percepiscono anche le occhiate che le donne si scambiano sotto al merletto nero che copre il loro volto.

Riusciamo anche a sentire la voce del principe Fabrizio che nella stanza accanto chiede alla servitù di preparare una limonata. “Pinuccio, O Pinuccio, Pi favure ca fa cauro, mi puoi piddiuari a limonata !”. Così il domestico va verso la cucina e prende il sifone nello scaffale e borbotta “quanto sunnu viecci sti pianali“.

Nel frattempo nel salone prosegue il mormorio del rosario. Il domestico nella cucina prepara la limonata e il principe Fabrizio discute con gli altri nobili nel salone. Ad un certo punto si sente rimbombare questa frase, la sente anche Pinuccio dalla cucina: “Signuria vostra. Adda a capire na cosa. Se ama a lassare tutto come è, tutto a canciari“.

Una frase che racconta la situazione d’immobilismo politico e sociale della Sicilia degli anni Cinquanta che delinea un vecchio regime aggrappato ai titoli nobiliari volto a garantire la sua sola sopravvivenza. Ne emerge un trasformismo esistenziale incapace all’adattamento al nuovo ed incline alla rassegnazione, che vede l’unica soluzione nell’accontentarsi di vivere le cose come stanno.

Alla fine Hernández rappresenta proprio questo un tempo sospeso, immobile ma cangiante in continua trasformazione.

 

 

Mar Hernández

Mar Hernández, Sifon | Estanteria cafe, 2020, matita su stampa a getto di inchiostro, 2020

 

 

Comments (2):

  1. Luigi

    Ottobre 31, 2020 at 7:38 am

    Notevole ed interessante la ricerca artistica di Hernandez

    • mdm4rt

      Novembre 1, 2020 at 3:01 pm

      Grazie del Feedback ! concordo con lei, Hernandez è un’artista giovane con una ricerca artistica in divenire da seguire.

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