Marco Emmanuele | Strane creature

 

“E’ strano il piacere che danno i fossili. Non tutti li amano, perché in fondo non sono che le spoglie di antiche creature. Se ci pensi troppo a lungo finisce che ti chiedi che ci fai con un cadavere impietrito tra le mani. Eppure li trovo affascinanti perché non appartengono al nostro mondo, ma provengono da un passato difficile da immaginare.”

Strane creature, Tracy Chevalier, 2009

 

Arabidopsis, è una parola che suona melodica. Si tratta del nome scientifico della pianta disegnata su sfondo azzurro, da Marco Emmanuele nonché titolo dell’opera stessa. Arabidopsis è stata identificata nell’Ottocento, oggi è considerata una pianta infestante che cresce diffusamente e che non trova utilizzo in agricoltura. E’ una graziosa erbaccia, in altri termini. Questa pianta ha una particolarità, è utilizzata dalla comunità scientifica per essere usata come modello per la genetica e la biologia molecolare vegetale. Racchiude in sé il fascino della scoperta e della sperimentazione.

Credo che l’opera Arabidopsis abbia molto da raccontare, rivela ad esempio il rapporto dell’arte contemporanea con il passato. Un argomento delicato quest’ultimo, attorno alla quale ruota il problema dell’arte e del sapersi rinnovare. Questione riassunta nel sintagma “arte contemporanea”, sotto il quale oggi sono raccolte, un ampio gruppo di azioni creative, tutte accomunate dall’essere abbastanza recenti o altrimenti a noi contemporanee. Marco Emmanuele distrugge questa struttura linguistica e rende mobili le sue frontiere, dando origine ad una archeologia dell’opera d’arte contemporanea.

Mi piace immaginare che l’artista abbia vissuto momenti simili a quelli della protagonista del libro di Tracy Chevalier, Mary Anning (il cui romanzo è tratto da una storia vera), che setacciando le spiagge di Lyme Bay (Gran Bretagna) portò alla luce fossili, dando un importante contributo agli studi sull’evoluzione dei rettili marini.

Marco Emmanuele setaccia le spiagge e i luoghi comuni e trova i fossili della nostra contemporaneità. Li isola, ne studia le forme e le ingloba nelle sue opere secondo le regole di una nuova archeologia contemporanea. Le spoglie di un mondo consumatore e consumato, sono poste secondo un ordinato equilibrio geometrico. Chiavi dimenticate, monete perdute, vetri sabbiati dal mare, piante diffuse. Vengono inclusi tutti i simboli di una routine contemporanea, che si presteranno a breve termine a diventare archeologia urbana.

Eppure questo desiderio di Marco Emmanuele di rivolgersi al passato, è un tentativo di comprendere il futuro. A questa interpretazione mi ci ha portato il pensiero di Giorgio Agamben, che mi è stato citato dall’artista quando mi ha raccontato che la presenza delle monete nelle sue opere era legata alla storia etimologica della parola Fede.

Ebbene Agamben afferma che “l’archeologia è la sola via di accesso al presente”. Ecco, vi invito a guardare l’opera di Emmanuele avendo bene in mente queste parole, credo che da lì potremmo avere la possibilità di capire tutto ciò che c’è in Arabidopsis, che ho la sensazione che sia -sempre utilizzando le parole di Agamben- “l’ombra portata di un’interrogazione rivolta al passato”.

 

Marco Emmanuele, Arabidopsis, 2016, smalto, acrilico, monete, ceramica e chiavi su tavola, 150x92 cm

Marco Emmanuele, Arabidopsis, 2016, smalto, acrilico, monete, ceramica e chiavi su tavola, 150×92 cm

 

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